Sapori, Arte e nutrimento per l’anima
Antonella Iris De Pascale ha partecipato alla Mostra “Sapori, Arte e nutrimento per l’anima” con opere che esplorano in profondità il rapporto tra arte e consumo. Una delle sue opere più emblematiche.
“L’anima di Marilyn”, offre una riflessione critica sulla trasformazione dell’arte in prodotto di consumo e su come questa stessa trasformazione possa divenire un processo consumante.
In questa metafora, de Pascale richiama un tema caro a Warhol, ma lo supera liberando l’iconica figura di Marilyn dalla ripetitiva riproducibilità che l’ha resa simbolo di una società ossessionata dall’immagine.
Con un approccio innovativo, l’artista riflette su come la società dei consumi fagociti voracemente l’arte, manipolandola e trasformandola secondo i propri gusti, senza però essere cambiata profondamente da essa.
In “L’anima di Marilyn”, de Pascale mette in evidenza questa dinamica, suggerendo che l’arte può essere tanto nutrimento spirituale quanto peccato di gola, oscillando tra la ricerca del sostentamento interiore e l’eccesso consumistico.
La partecipazione di Antonella Iris De Pascale alla mostra “Sapori, Arte e nutrimento per l’anima” non solo conferma la sua capacità di affrontare temi complessi legati alla contemporaneità, ma anche di creare un dialogo tra arte, società e consumi, trasformando icone culturali in simboli di riflessione profonda.
Nota critica sull’opera:
Con un monito la Iris ci suggerisce che l’arte può esser nutrimento, sostentamento per l’anima, ma anche peccato di gola ed eccesso, proiettando nella metafora presente in “L’anima di Marilyn” la trasformazione di un prodotto che diviene consumo e processo consumante allo stesso tempo. tema già caro a Warhol, in questo caso la Venere per antonomasia della Pop art (Marilyn), si libera dalla ripetitiva costrizione che la vede oggetto di consumo obbligata ad immagine riprodotta con ossessione, fuoriuscendo così dalla riproducibilità seriale e dalla forsennata corsa di una società dei consumi che cerca soddisfazione in un’iconografia mordi e fuggi. In una spettacolarizzazione d’immagini fagocitate voracemente dal grande pubblico, con la sua abbuffata la società cambia i destini dell’arte a suo piacimento, senza però venirne cambiata.
Alessandro Giansanti
Art Director, Gallerista e Curatore presso “Agarte – Fucina delle Arti”
Luci e Ombre presso Palazzo Rospigliosi a Zagarolo
L’opera presentata da Iris De Pascale si inserisce magistralmente nella mostra Luci e Ombre, richiamando sia sul piano stilistico che concettuale l’eredità del Caravaggio. Come nel maestro barocco, il contrasto tra luce e ombra gioca un ruolo centrale, dove la luce diventa il veicolo per rivelare verità nascoste e portare alla superficie ciò che è celato nell’oscurità. Nell’opera, si vedono volti umani come punti focali della composizione, frammenti di un’anima collettiva o individuale che emerge dall’ombra per essere esposta alla luce della coscienza.
La molteplicità dei volti suggerisce una pluralità di identità, quasi fosse un mosaico di esperienze umane sovrapposte. Questi volti sono allo stesso tempo distinti e indistinti, suggerendo la complessità dell’individuo moderno, spesso frammentato, e delle emozioni che nasconde. Il riferimento alla luce non è solo visivo, ma anche simbolico e psicologico: come Caravaggio esaltava i dettagli delle sue figure tramite un’illuminazione drammatica, così Iris utilizza il colore e la composizione per portare alla luce emozioni e tematiche profonde. Ogni volto sembra rivelare un frammento di un’interiorità complessa, esplorando il confine tra visibile e invisibile, tra ciò che mostriamo e ciò che scegliamo di nascondere.
Dal punto di vista filosofico, possiamo interpretare quest’opera come una meditazione sull’identità e sull’esperienza umana. I volti, sovrapposti e ripetuti, creano una tensione che richiama l’idea di molteplicità e frammentazione, ma anche di unità. L’artista, con la sua sensibilità, sembra voler esplorare il concetto dell’identità come stratificazione, dove ogni livello racchiude segreti nascosti che solo la luce – sia essa intesa come conoscenza o rivelazione interiore – può far emergere.
L’uso dei colori, vibranti e intensi, contrasta con il fondo quasi terroso, creando un legame con le tecniche caravaggesche di accentuazione della forma attraverso la luce. Ma qui, invece che un chiaroscuro netto, si assiste a una sfumatura più complessa e astratta, come se l’artista volesse suggerire che non tutto può essere chiaramente svelato, lasciando ampio spazio all’interpretazione dello spettatore.
In conclusione, l’opera dell’artista non è solo una celebrazione della luce come rivelatrice di verità, ma anche una riflessione sulla condizione umana, sul rapporto tra passato e presente, e sull’intreccio tra visibile e invisibile, in linea con il tema della mostra e con il contesto storico del Palazzo Rospigliosi, che ha accolto lo stesso Caravaggio durante un periodo di ombra nella sua vita.
Intervista all’artista
Antonella Iris De Pascale:
creatività in bilico tra il reale e il surreale.
La tecnica impiegata crea un mixed media unico nel suo genere e che ben si adatta alle visuali di un’artista dalla narrazione ricercata e particolareggiata; le fotografie, rielaborate sia in maniera digitale che manuale, vengono mescolate ad un approccio più tradizionale e manuale con l’ausilio di medium pittorici.
I soggetti sono luoghi onirici, vedute realistiche e atmosfere ricercate che Antonella scompone per poter poi ricomporre in quell’unicità che è il quadro finale.”
Alessandro Giansanti, Tratto da “Frascati in Arte: 1a Edizione” Edito da “Agarte – Fucina delle
Arti” (2022).
Intervista all’artista.
Il tuo primo contatto con l’arte?
Sono nata e vissuta a Firenze, fino al 2016, quando ero piccola i miei genitori mi portavano di sabato a trovare una famiglia che possedeva una splendida casa ottocentesca e un laboratorio, nella stessa, dove avevano un’attività artigianale di corredi, tovaglie, camicie da notte ricmate e dipinte a mano , che si tramandava di generazione , in generazione. Io avevo 6 anni e mi infilavo in una stanza ,mi sedevo accanto a delle signore già anziane all’epoca che decoravano con matite blu e rosse fiori, margherite, rose, tulipani una parte veniva ricamata con fili colorati e altre una volta le vidi dipingere. Avevo sei anni e dissi io voglio disegnare stoffe.
Il mio contatto invece col fare Arte, anzi il mio primo atto agito, personale, fu durante una lezione di disegno in seconda media, studiavo in un collegio femminile, gestito da suore, quella mattina c’era il sole, la scuola era in uno splendido parco, la suora ci chiese di rappresentare, quello che vedevamo dalla finestra.
Iniziai a disegnare, correttamente come richiesto, poi mi prese un attacco, una ribellione, iniziai, a tratteggiare e schizzare sopra la parte disegnata schizzi di colore, oggi la chiameremo action painting, fu il mio primo atto di coraggio di fare arte.
Quando hai capito che l’arte sarebbe diventata da passione a professione?
Io non pensavo io affermavo, per me esprimermi con l’arte era una certezza e volevo fare l’artista dall’età di tredici anni, volevo fare il liceo artistico, ma mi fu negato.
La tua prima opera?
Appena ho finito a 18 anni le scuole magistrali, decisi che volevo studiare e fare l’artista e imparare a disegnare e dipingere, mio padre acconsentì alla mia richiesta e mi ha fatto frequentare una bottega di un artista Andrea Spinelli , era uno scantinato in Via San Gallo a Firenze in zona Accademia Belle Arti, dove il maestro d’arte Spinelli, impartiva lezioni private, io ero quasi sempre da sola , talvolta arrivavano altri allievi e anche molti studenti americani provenienti dal Saci , scuola con cui ho avuto scambi artistici
Era l’anno 83 studiare il disegno mi stava stretto,invece , imparare l’uso dell’olio, dell’acrilico, pennelli spatole, mi aiutava ad esprimermi meglio.
Ero in una fase dove la mia arte era e voleva essere informale, e dal colore emergevano varie forme. Il mio primo quadro era un serpente, ma non aveva il volto si evinceva dal colore e dal movimento.
(Oggi e’ in una collezione privata di uno psichiatra livornese , collezionista da molti anni dei miei lavori)
Per fare arte, bisogna averla studiata?
No, io non amavo studiare la storia dell’arte e neppure conoscere le vite degli artisti, ho deciso di farlo da adulta. Per me l’istinto primordiale di esprimersi, di comunicare attraverso l’arte, va oltre la cultura , è altro, gesto, comunicazione, impronta.
Cosa unisce i tuoi dipinti e la musica?
La mia storia, familiare, dove sono nata e la presenza importante e potente di mio fratello, mi ha permesso di essere e diventare quella di oggi.
A 13 anni uscita dal solito collegio di cui vi parlavo prima, dentro la mia casa , in una splendida mansarda dalla quale si vedeva la cupola del duomo, si componeva , si suonava , ascoltavo Jimi Hendrix, la band di mio fratello Ernesto suonava prima rock duro e poi blues, ma la verità e’ che mio fratello Ernesto Carmine disegnava, componeva , suonava cantava, proiettando le diapositive su un lenzuolo bianco, che venivano costruite da lui inserendo in due lucidi sapone da mani e chine colorate, poi venivano proiettati.
Psicodelica allo stato puro, mentre il suono delle chitarre, del Far fisa e della batteria, invadeva la stanza.
La musica era forte e io che ero la piccola, guardavo ascoltavo, osservavo, in quel mondo di ventenni cosi diverso dal collegio di monache.
Come scegli cosa ritrarre?
Ritraggo il feed- back dei miei vissuti
Sono viaggi, persone, cose, pensieri, riflessioni
Un aneddoto che ricordi con il sorriso?
Difficile, direi impossibile
Se potessi incontrare un artista del passato, chi e cosa gli chiederesti?
Vorrei incontrare Modigliani, gli chiederei:
quanto è stato importante per te nascere e vivere a Livorno
Molte delle donne che ritrai non hanno la pupilla, perché’ “gli occhi sono lo specchio dell’anima” e tu decidi di rappresentare i tuoi soggetti come privi di pupille non potendo conoscere l’anima degli uomini e delle donne che ritraevi cosi lasci gli occhi ‘vuoti’, ma tu quando l hai persa l’anima e perché?
Se incontrassi te stesso a 18 anni cosa ti consiglieresti?
Io a 18 anni ho fatto tutto quello che umanamente era possibile fare, stabilendo di realizzare a tutti i costi la mia prima personale a 19 anni e riuscendo a crearmi uno spazio, scappando, sgomitando, tra due grosse personalità nella mia famiglia.
Quanto conta la comunicazione?
Ho studiato counseling e coaching life, ho fatto molti corsi di comunicazione tra cui Anthony Robbins.
A oggi saper comunicare è alla base di ogni percorso a prescindere.
Noi siamo i responsabili della nostra comunicazione e come tale del risultato.
Saper comunicare, vuol dire anche saper far sognare, e l’artista vende sogni.
Che differenza c’è, nella percezione dell’arte tra Italia e estero?
Chi nasce in Italia mangia pane e arte da quando nasce, dalle pietre che calpesta per strada, i basolati, alla fonte che trova per le strade di Roma, scavi, piazze, monumenti, chiese. Questa abitudine al bello, è si ricchezza per un artista che nasce in Italia, ma lo penalizza, in quanto cosi tanta bellezza, talvolta annienta l’operato di un artista contemporaneo che poco ha da creare di nuovo.
In questo momento pagherei oro per fare una mostra all’estero, a Parigi o Londra
Cos’è per te l’arte?
Per me l’arte è la Via, è linfa vitale, poter vivere in maniera divergente, è un modo di stare al mondo unconventional, un modo di vedere, fare, riflettere, oltre ciò che appare
Cosa ti aspetti da un curatore?
Partendo dal significato tecnico del curatore, ovvero, ideare, progettare e organizzare mostre e allestimenti temporanei. Io mi aspetto un lavoro sinergico un one to one, ovvero l’incontro tra il curatore e l’artista, dove nella relazione, l’artista preoccupato o talvolta insicuro si affida al curatore, ne ascolta consigli, feedback, per poter procedere al meglio, perché’ win to win è l’obbiettivo di entrambi. Vincere insieme, una soddisfazione importante da parte di entrambi.
Alessandro Giansanti
Antonella Iris de Pascale nasce a Firenze nel 1964, dove vivrà per gran parte della sua vita,
cominciando già in tenera età a mostrare interesse, ed una certa attitudine, per le arti visive.
Cresciuta in un ambiente permeato di cultura e arte, comincerà a fare esperienza dell’arte
realizzando le copertine dei dischi del fratello (musicista e giornalista).
In questo periodo nascerà “Iris”, la parte della personalità della De Pascale più esuberante e creativa.
Nel 2015 raggiunge la maturità artistica con una sua personale forma d’arte concettuale maturata nel corso di anni di ricerca; ad ogni opera Antonella riesce a costruire un collegamento, un fil rouge, che obbliga l’osservatore a seguire l’artista e ad addentrarsi nell’opera fino a divenirne parte.
La sperimentazione è parte fondamentale del progetto di Iris, influenzata in particolar modo dal creativo ambiente fiorentino.
Il Destino legato al filo rosso
L’opera d’arte rappresenta visivamente la leggenda del filo rosso del destino, un concetto tradizionale cinese e giapponese che descrive come ogni persona sia legata sin dalla nascita a un invisibile filo rosso, che la connette alla propria anima gemella. Al centro dell’immagine, un groviglio di mani che si protendono suggerisce la ricerca di questo legame. Il contesto numerico e temporale, con un orologio e una griglia numerica, enfatizza la dimensione del tempo e il peso del destino.
Il filo rosso, simbolo di connessione e destino, serpeggia tra le figure, evidenziando la complessità dei legami umani. Il “taglio delle corde” nella parte inferiore dell’immagine rappresenta un rito sciamanico di liberazione, indicando la necessità di recidere legami che ostacolano il cammino verso il destino finale.
Filosoficamente, l’opera esplora la tensione tra destino e libero arbitrio. Se il filo rosso rappresenta il destino, il taglio delle corde simboleggia l’intervento umano, la possibilità di cambiare il proprio percorso attraverso scelte e azioni. L’opera invita a riflettere su come affrontiamo i legami invisibili che governano le nostre vite e come possiamo riconquistare il nostro destino attraverso la consapevolezza e la trasformazione personale.
Loredana Trestin
Antonella Iris de Pascale
Finestre aperte sul femminile
Viaggio e Identità sono le due parole chiave per addentrarsi nel mondo visivo di Antonella Iris de Pascale, due temi che poi si fondono in un unico nocciolo saldo di decorativismo unito a surrealismo onirico.
Una finestra aperta sul mondo, alla Henri Matisse, racchiude il senso di quello che i quadri dell’artista vogliono ‘aprire’: una “vista” da un interno a un esterno, che sia un luogo fisico o dell’anima, tutto da esplorare.
Matisse creava evasioni decorative, con colori selvaggi, primitivi, rivoluzionari, in spazi spesso bidimensionali o piatti, in cui il colore creava spazio e punti di fuga. I quadri di Iris de Pascale sono mondi aperti su qualcosa che non conosciamo, di noi o del mondo. Il colore non è fine a se stesso, decoro da ‘arte per l’arte’, ma un colore strumentale a questo viaggio in cui ci si avventura, colori fra “astrazione ed empatia”.
A differenza dello stile fauve di Matisse, infatti, i suoi quadri attraversano uno spazio onirico che viene dai mondi esoterici e misteriosi di Paul Klee e di Marc Chagall, in cui il colore è sempre protagonista, come in Matisse, ma in questi colori un significato ‘altro’ (rispetto a quello fisico, tangibile, materiale) è dietro la finestra, o nell’ aria, in creature volanti senza peso e senza posa, volteggianti in spazi paralleli, sovrapposti, perfettamente incastrati nel mondo fisico in cui si vive, si cammina, si viaggia.
E’ interessante conoscere il lungo lavoro nel mondo del tessuto che l’artista ha svolto nella sua prima vita, prima di passare alla fotografia e alla tela: i tessuti fiorentini pregiati e ricamati a mano stanno all’arte di Iris come i tessuti dell’industria di famiglia stanno all’arte matissiana, ancora una volta in un parallelo sorprendente di talento artistico scoperto in seconda battuta nella vita; i volumi, i riflessi, la preziosità delle stoffe si traducono in un’attenzione vitalistica per tutto ciò che è luce, cromatismo, divisione di spazi visionari.
In quadri come La ballerina e le tre porte , Il grande viaggio : trasformazioni, Frammenti di me a Tangeri , I musicanti di Chefchaouen il tema del viaggio è predominante: come memoria di cose viste, fra colori che incendiano la tela e fotografie sgranate su cui dipingere i propri sogni di viaggiatori; come esplorazione di usi, costumi, pensieri altri da noi; come presenza di mondi paralleli, esoterici, misteriosi, un po’ come nel testo ‘Lo spirituale nell’arte’ di Kandinskj, in cui colori e forme simboleggiano emozioni e sensazioni, anche musicali, dell’anima.
Il viaggio riconduce al tema dell’Identità, che con sguardo femminile scava oltre la superficie, cerca presenze arcane, misteriose, sognanti, alberi animati, donne volanti, come figure di uno Chagall contemporaneo alla ricerca di ciò che di invisibile si apre al nostro sguardo.
In Ritratto di donna negata, il volto celato dell’esotica protagonista rimanda alla necessità di rispettare i diritti delle donne, ma anche alla bellezza fiammeggiante delle culture diverse e si ricollega però anche, in fondo, ad ogni donna, di ogni Paese, di ogni cultura, che si cela il viso dietro uno splendido abito, con ricami arabescati sulle mani, alla ricerca del proprio volto autentico, un volto interiore, quello libero di cantare, di esprimersi, di esserci.
C’è un rimando a Shirin Neshat, come immersa in colori fauve e in un Surrealismo esplicito, espresso nelle figure volanti e appiattite che danzano sul velo arancio. Sono figure eteree, come divinità egiziane bidimensionali e regali, chiavi per mondi diafani, non più fisici, ma metafisici: Anime.
Il viaggio (verso terre esotiche, come il Marocco, l’Andalusia) si intreccia all’ Identità in modo indissolubile, sono uno il proseguimento dell’altra, come le perle di una collana, in un intreccio estetico-tematico senza soluzione di continuità.
L’artista afferma di avere quattro tipi di ricerca rispetto al quadro: la ricerca dell’occhio che vede e fotografa, la ricerca della composizione fotografica, la ricerca del nuovo quadro con l’intervento pittorico sulla base fotografica e la ricerca, importantissima, dell’emozione-percezione vissuta in quel luogo.
Un quadro di Iris de Pascale è un universo, brulicante di diversi piani spaziali, ottenuti con zone spartiacque, create da decori che sono come ceselli (ceramiche maiolicate, ventagli di tessuto, damaschi), esuberante di colore, che crea orizzonti perduti o in cui perdersi, di bellezza universale, di Identità nel senso latino di essere uguali a sé, scoprire il proprio sé autentico, attraverso l’esplorazione di bellezza e cultura.
C’è il viaggio verso terre lontane che riportano a casa scoprendo sé stessi attraverso il confronto, attraverso il cibo, il colore, l’odore, il suono, la danza. E’ un universo esplosivo di vita che ricorda una poesia di Yeats dedicata al viaggio e al ritrovarsi al di là del tempo che è, non a caso, “Salpando verso Bisanzio”: parla di un corpo umano che esce dalla natura, dopo il lungo viaggio, e ritrova un corpo quasi come una pietra preziosa cesellata, dai colori cangianti, in una dimensione immateriale, onirica, al di là del tempo e della preoccupazione del futuro. Un ‘esserci’ dinamico, ipnotico, evolutivo.
“Una volta fuori dalla natura non prenderò mai più
La mia forma corporea da una qualsiasi cosa naturale,
Ma una forma quale creano gli orefici greci
Di oro battuto e di foglia d’oro
Per tener desto un Imperatore sonnolento;
Oppure posato su un ramo dorato a cantare
Ai signori e alle dame di Bisanzio
Di ciò che è passato, che passa, o che sarà”.
Roberta Guiducci
Storica dell’arte e consulente d’arte, www.thearttime
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Guardare le opere di Iris Antonella De Pascale è come immergersi in un film incentrato sul dialogo di esperienze di vita. Piccole storie, piccoli pezzi di un’unica pellicola, vissute in prima persona o da spettatore affascinato. Il punto di partenza è la vita reale che viene trasformata in immagini surreali in cui ci si cala emotivamente, come se l’artista fosse un attore che applica il metodo di Stanislavskj: calarsi nel sentimento per essere il sentimento stesso.
L’artista ritrae donne e uomini della cultura araba o ispanica, i cui tratti e ambientazioni sono rimodulati dalla mano pittorica; raffigurazioni di donne con i capelli tirati che ballano il flamenco, balli di sala o altre figure accompagnate dal jazz e blues, tipica musica della storica New Orleans. Ci si trova davanti a personaggi colorati e in movimento, come quelli di una pellicola di Almodovar, ma segnati da un carattere introspettivo. I protagonisti sono dei paradossi, delle maschere felliniane; come Fellini costruiva i suoi film sui sogni, Iris Antonella de Pascale realizza immagini surreali sulla base di eventi della vita reale.
Le svariate ambientazioni e i diversi personaggi sono legati da un unico filo conduttore, la vera unicità che dà valore alla sua produzione artistica: una figura alata che si libra nel quadro. Siamo davanti al concetto dell’anima, una parte invisibile, un’energia, che risiede in tutti luoghi, oggetti e persone. Possiamo definire questa figura come la metafora dell’ANIMA ANIMARE, una voce fuoricampo che entra nel contesto per fondersi ad esso. È con questa sua unicità che Iris Antonella De Pascale vuole raggiungere la sua massima compiutezza: realizzare un’arte nella quale una moltitudine di gente riesca a rispecchiarsi.
testo curatoriale
Chiara Gatto
LA PITTRICE IRIS DE PASCALE ALLA PINACOTECA IL CUNEO
30/05/2021 SANTA MARIA A VICO
L’Arte, tempio dell’anima
Antonella Iris De Pascale e i colori vivi dei moti dell’essere
L’arte è il respiro dell’anima, s’insinua tra le fibre dei corpi come le scie delle tempere invischiano le fragili barriere dei riquadri telati. Incrostandosi, intrappolano sospeso un guizzo di gesto, un momento, una pulsazione. Lo sguardo vagava saettante in continue danze senza posa, sabato 22 Maggio alla mostra delle opere dell’artista Antonella Iris De Pascale, ospitate nella Pinacoteca d’Arte il “Cuneo” di S. Maria a Vico, magistralmente diretta dal Prof. Pietro Nuzzo. Una melodia iniziale si levava timida tra i presenti, carezzando il silenzio estasiato, mentre il conduttore dell’evento Mimì Campagnuolo volteggiava con l’artista in un lento come a preparare gli animi all’arte e a spegnere i cortocircuiti del frenetico quotidiano. Davanti alle opere nasceva l’esigenza di scrutarsi dentro. Di non temere di pizzicare corde dell’anima spesso messe a tacere per la paura di sentire, di valicare un limite confortevole, di rivivere dolori o emozioni senza etichette, senza nome. Aprirsi a un ricordo lontano che fa pizzicare gli occhi o il battito accelerato allo sfioramento velato di un amore passato, imprigionato da un continuo voler “superare”. Imparare a conoscersi senza trattenersi, senza tenere nulla per noi, così i colori vividi delle opere addomesticano le sensazioni. Le pennellate si mescolano agli sguardi della luce come i profumi speziati solleticano le lenzuola che sciorinano al sole di Malaga, tra i lamenti di un violino lontano e il vociare della vita che brulica nei passanti. Le ragnatele di tela mostrano alberi animati dai volti umani, dal sentire emotivo di un universo complesso. Un panismo arcano di miti lontani, l’eco nascosta di un “io” senza tempo, pare annidarsi nelle voci sparse di un flauto di pan tra i campi di grano dorato lambiti dal vento. Striscianti passi gitani sentivano il cuore della terra in ritmi ondulati tra le fiamme striscianti dei focolai, negli occhi senza fondo, la continua ricerca di sé. Emozioni perse alla bocca dello stomaco, suoni lontani, ricordi passati, sorrisi del cuore, profumi che ricordano. L’arte ci sussurra all’orecchio, ci conforta quando smarriamo la strada per ritornare a noi.
Maria Paola Puoti
Giornalista
“Trasformazioni in Viaggio”
Il pandemonio scatenato nel 2020 dalla “Pandemia”, o “Covid 19”, aveva bloccato questa personale presso il Museo “Ugo Guidi”, come la presentazione del catalogo/documento.
Finalmente, sperando che anche la finestra dell’arte attuale si riapra ovunque, siamo qui – negli spazi dedicati alla personalità di un grande e indimenticabile artista che è già entrato nella storia del Novecento, Ugo Guidi – accanto ad Antonella Iris de Pascale, fiorentina di nascita.
Mi preme, innanzi tutto, evidenziare che questo suo viaggio grafico/pittorico, composto peraltro dall’incisività di certi suoi scritti, altro non è che che la continuazione di quell’attivo, attivissimo, “ponte d’arte” che s’è stabilito da sempre tra il territorio fiorentino e quello versiliese.
Ne fanno fede trascorse presenze non solo del divino Michelangelo Buonarroti, con il suo difficoltoso soggiorno, soprattutto dal 1518 al 1520, in quel di Pietrasanta, di Seravezza e di Stazzema, ma soprattutto nel passato recente e non, dell’inventore della tuta Ernestro Thayaht, di Pietro Annigoni, di Vinicio Berti, di Amedeo Lanci e di molti molti altri ancora.
Antonella Iris de Pascale fa dunque parte di un gruppo in cui armonia troviamo artisti d’ogni mentalità, giornalisti e poeti, critici e storici dell’arte, molti dei quali rammentati nella grande mostra che il Museo “Ugo Guidi” organizzò nel 2014 in occasione del 100 anni dalla nascita, come Comune, di Forte dei Marmi.
Chi passa di qui, e chi vi dimora, lascia una traccia, una memoria concretizzata in questo catalogo dagli scritti di Marilena Cheli Tomei, di Roberto Guiducci ma pure dagli approfondimenti con cui l’artista ha voluto accompagnare i propri dipinti con la sensibilità e la professionalità che molti già conoscono e di conseguenza apprezzano.
E’ inutile ripetere quello che ho già scritto nel catalogo, o elencare le sue esperienze artistiche iniziate nel 1983, le pubblicazioni nelle quali è stata inserita, dico solo che è pure arteterapeuta ideatrice-formatrice, referente di progetti scolastici di didattica dell’arte e d’altro, e che da Giovanni Angelici a Carlo Franza, da Ernesto de Pascale a Furio Morucci, Jacopo Chiostri ed Emilia Santelia, per dire qualche nome a caso, la critica d’arte più seria s’è occupata di lei.
Per approfondimenti c’è questo catalogo, peraltro già acquisito e catalogato dalle Biblioteche Nazionali di Firenze, Milano, Cosenza, Potenza, Roma, Venezia, Napoli, e anche dalla Bibioteca Comunale “Lorenzo Quartieri” di Forte dei Marmi.
Credo che la sua scelta di unire l’attività pittorica a quella didattica, dia il senso di chi sia, vale a dire una personalità impegnata, complessa, per l’ampia visione che mai cade nel retorico.
Ha saputo interpretare gli accadimenti della propria vita e molti della collettività di cui fa parte.
Li ha perciò raccolti in una sorta di diario per immagini: si tratta di pagine piene di emozioni, di riflessioni, cioè quei semi che ogni artista crea e getta a spaglio affinché crescano e producano frutti utili per chi li voglia e sappia cogliere.
Antonella Iris de Pascale, lo si può constatare da quanto è esposto in questa personale, come dall’intero cartaceo arricchito dalle traduzioni in lingua inglese di Laura Giovannelli, senza dimenticare l’apporto fotografico di Fiorenzo Giovannelli e Manrico Quinti, ha fatto da tempo precise scelte di vita.
Personalmente l’apprezzo anche per il fatto che si sia subito allontanata da quella mercificazione dell’arte che è un vero e proprio tumore maligno in questa nostra società in cui – mi si permetta dirlo senza entrare in polemica – certi mascherano la bruttezza facendola apparire bellezza, come afferma Vittorino Andreoli, là dove, ne’ “Il rumore delle parole” (Rizzoli, Milano 2019) scrive che “Siamo in un periodo di grande declassamento della percezione della bellezza”.
Non vado oltre, semmai penso che queste “Trasformazioni in Viaggio” oggi siano approdate – simile ad una Itaca, pensando a quella cantata da Konstantin Kavafis – in un porto come non molti ce ne sono in giro, qual è il luogo dove ci troviamo.
Un luogo diviso in due parti: una con lavori legati alla realtà, e l’altra alla fantasia.
So che da questo porto Antonella Iris de Pascale partirà poi per altri lidi, per altre scoperte, per altri successi.
Qui ha lasciato già un segno, quello della presenza di un pubblico attento, che saprà sicuramente accogliere l’essenza poetica del suo viaggio.
Il ‘viaggio’, in lei, è infatti anche contatto espressivo con gli altri, concretato con l’essenza vitale del linguaggio dei suoi colori, che a gruppi o singolarmente stilano il racconto dei giorni.
Vi troviamo accenti di rinascita, magari un’Araba Fenice, la visione di una ballerina andausa col flamengo ad esprimere l’esigenza di sfogare gioie e dolori,divinità e realtà, e lui – i viaggio – è sempre lì.
L’accosto, un esempio che amo, al tratto magistralmente fissato da uno dei maggiori letterati del Novecento, Pasternàk, dove accarezza le ultime righe della lirica intitolata “Notte” con le seguenti parole: “Non dormire, non dormire, artista, / al sonno non ti abbandonare./ Sei ostaggio dell’eternità,/ prigioniero del tempo”.
Oggi, come nel passato, la società ha bisogno dell’arte, degli artisti d’ogni dimensione, prigionieri del tempo che donano la loro luce.
Questa personale si completa con altri momenti, quale la presentazione, in anteprima nazionale, del nuovo progetto “Ceramiche d’autore: “Dettaglio di Ritratto di donna negata” su la “Ceramica di Montefusco”.
La maiolica Montefuscana, di cui si possono trovare notizie ampie sul internet al sito “ceramichedi montefusco.it”, è tra le più antiche tradizioni di ceramiche della Campania, ed è completamente lavorata a mano, è di impostazione barocca con forti influssi arabo-islamici.
Oggi il laboratorio “Ceramica di Montefusco” si incontra con Antonella Iris de Pascale, con la quale condivide la passione per le culture mediterranee.
Le ceramiche diventano tele che ripropongono le sue suggestive immagini, costituendo allo stesso tempo preziosi oggetti di arredo.
Lodovico Gierut
Critico d’arte e giornalista
Se la donna vuole…
La scienza ci dice che la caratteristica del multitasking è preminente nel pianeta donna e quale miglior esempio di Antonella Iris De Pascale: un vero e proprio turbine di esperienze, studi, interessi, ricerche e attività.
E’ una mente sempre tesa a cogliere e recepire nuovi stimoli che contribuiscono e modificano il suo patrimonio esperienziale in un continuo fluire alla ricerca del sé e dell’altro da sé.
Ho già parlato delle opere di De Pascale, ma oggi vorrei porre l’accento sul suo soggetto preferito e cioè la donna nel suo essere multiforme e soprattutto nella donna libera rappresentata dalle eteree figure femminili fluttuanti in ogni sua opera.
Troppo spesso nella società contemporanea si crede di difendere i diritti della donna con superficiali atteggiamenti o definizioni, come le ridicole quote rosa, che peraltro almeno tentano di cambiare una situazione migliorata rispetto al passato, ma ancora retrograda per altri aspetti.
Penso quindi che l’arte al femminile abbia un ruolo importante soprattutto per il diverso approccio alla materia e al contenuto che la caratterizza nella nostra epoca.
Nel passato la donna era oggetto dell’arte, ma raramente artista, eccetto alcuni casi che ebbero vita non facile nonostante il valore indiscusso delle loro opere, ma con il passare dei secoli lentamente la presenza femminile ha iniziato a farsi più consistente soprattutto nel ‘900.
De Pascale è una giovane artista che ha maturato ben presto un sé anticonformista e una insaziabile volontà di ricerca per rendere visibile l’invisibile, sono parole sue, utilizzando con notevole estro creativo varie tecniche comprese quelle informatiche.
Ma ciò da cui sono stata attratta, oltre che dall’estetica delle sue opere, è stato l’aver posto la donna come tema centrale: una donna esibita, interiorizzata, violata nella libertà del suo essere, capace di eterna rigenerazione, custode di tradizioni e al contempo spirito innovatore, forse prigioniera nel corpo ma libera di volare, se vuole farlo.
Oggi ho voluto parlare solamente di questo aspetto della sua produzione anche se i temi affrontati sono numerosi, forse perché ho letto una poesia di un autore turco i cui temi ho ritrovato nel tripudio cromatico delle opere di De Pascale e che, pur uomo, ha saputo cogliere le tante anime femminili, libere di espandersi, “se (la donna) vuole”.
In definitiva grazie ad Iris De Pascale per il suo generoso eclettismo e per questa tematica in particolare.
Marilena Cheli Tomei
Storica e saggista
Giugno 2021
La donna, se vuole, riesce a far
stare
tanti mobili in una stanza
minuscola.
Marmellate di tutti i colori in
barattoli piccolissimi.
Il mare dentro un bicchiere da
acqua.
Una farmacia, una bigiotteria, le
foto di famiglia dentro una borsa
da polso…
Fa stare la notte dentro la sua
anima, Un ricordo nel suo vestito, i suoi
singhiozzi dentro una canzone.
La lussuria in uno sguardo, la
compassione in un tocco…
L’indifferenza nei suoi passi,
l’irresistibilità nelle curve delle
labbra, la memorabilità in un
sorriso…
La sua mestizia in una sigaretta,i
suoi segreti dentro un caffè, le sue grida
in un silenzio…
Un uomo nel suo cuore e nel suo
letto per tutta una vita, un figlio nel
grembo e nella sua vita…
La donna, se vuole, riesce a fare
spazio a tutto.
Ma chissà perché non riesce a far
spazio a se stessa.
Non si riesce farla stare in questo
enorme mondo.
Ozdemir Asaf poeta turco
(Forte dei Marmi, 26 giugno 2021. Museo “Ugo Guidi”. Estratto dalla presentazione della mostra personale di Antonella Iris de Pascale “Trasformazioni in Viaggio”).
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