Due chiacchere con Fabrizio Federici di redazione@vivereroma.org

Antonella, tu sei di Firenze, senz’altro una delle culle internazionali dell’arte, e ti sei avvicinata giovanissima alla pittura iniziando a sperimentare, e passando da generi informali ad altri surreali. Oggi, con le tue opere proponi un tipo d’ arte di genere tra reale e surreale, diciamo tra la realtà e il viaggio onirico. Ma c’è un filo conduttore, un elemento preciso che collega tutti i tuoi lavori?
Sì: direi che unico elemento che lega tra loro i miei quadri è l’aria, nelle situazioni piu’ diverse…
L’aria, insomma, come principio di tutte le cose: proprio come diceva Anassimene di Mileto (588- 528 a. C. circa), terzo filosofo della storia dopo Talete e Anassimandro.
Beh, non voglio certo paragonarmi a una figura di tale livello: ma diciamo che l’aria, nei miei quadri, effettivamente diventa vivibile, palpabile. Come atmosfera che si fonde con l’ambientazione della scena e con i colori del quadro…
Ecco, parliamo appunto dei colori dei tuoi dipinti, che spiccano sempre molto vivaci, vivi. C’è un modello artistico cui ti ispiri, per questo?
Sì, ma non è – come si potrebbe subito pensare – un altro pittore; è il grande Federico Fellini.
Fellini, in effetti, ha asciato parecchi disegni, schizzi, bozzetti dei personaggi dei suoi straordinari film…
Ecco, io mi rifaccio soprattutto ai volti dei personaggi dei suoi film: che sono, come sappiamo, spesso piuttosto caricati, con trucchi pesanti, simili piu’ a maschere che a visi. Il tutto, come appunto accade in vari film di Fellini, in un’atmosfera, tutto sommato, piuttosto onirica che veramente reale.
Ma quali tecniche usi?
Faccio quasi sempre delle foto al luogo, all’ambiente che voglio appaia nel mio quadro; poi ripulisco bene la tela così ottenuta e ci lavoro con acrilico e smalti, dando così al quadro un tocco speciale, che crea un’atmosfera particolare, quasi surreale. E anche i trucchi che appaiono sui volti dei miei personaggi, sono trucchi veri: su cui, poi, passo delle particolari lacche, che agiscono come fissanti. Esempio tipico di questo mio modo di dipingere, è il quadro, con, in primo piano, sei personaggi quasi spettrali (come non pensare ai pirandelliani “Sei personaggi in cerca d’autore”?, N.d.R.), “Luci sul palcoscenico della follia”.
Nella tua arte ci sono, però, echi anche di vari altri autori: come, direi, Chagall, Picasso, e persino l’Arturo Martini incisore…
Sì: costante, però, è , nella mia arte, l’andare oltre l’essere, alla ricerca dell’anima.